Ha preferito non andare al lavoro – al Brotzu, dove è segretaria amministrativa da tanti anni – e restare a casa, chiusa nel dolore e nello sgomento. Sabrina Musini, 55 anni, sino a qualche giorno fa era la nipote più “anziana” di Adolfo Musini, l’88enne barbaramente ucciso da Eugenio Corona in piazza Valsassina a Cagliari. “Sono figlia di uno dei suoi tanti fratelli”. Il quarantenne ha confessato l’omicidio e il corpo senza vita dell’anziano è ancora all’ospedale, in attesa dell’autopsia. “Mio zio era la persona più buona del mondo, aiutava sempre tutti senza giudicare, era spinto dall’amore per il prossimo. Prima di andare in pensione lavorava a Nuoro, era ufficiale giudiziario. Dal lunedì al venerdì viveva lì e ritornava a Cagliari ogni weekend”. E, quando era ancora bambina, il ritorno in città di zio Adolfo, per Sabrina, era sempre speciale: “Per me c’era sempre un regalo. Una carrozzina con bambolotto, una cucina giocattolo e la casa delle bambole. Sapeva come rendermi felice. Non si è mai sposato, per un periodo ha vissuto insieme a mia nonna e, quando lei purtroppo è morta, ha riscattato l’appartamento”. Proprio quello al primo piano di piazza Valsassina teatro dell’orribile fatto di sangue.
“Zio Adolfo non era figlio unico, tra fratelli e sorelle erano in diciassette. Dopo la giovinezza trascorsa nel suo paese natale di Usellus, in provincia di Oristano, si era trasferito a Cagliari”, racconta ancora la nipote. “Non sono andata all’ospedale, i carabinieri hanno suggerito che è meglio se noi parenti non vediamo come è stato ridotto da quel maledetto assassino”. Un preambolo, quello fatto dalla Musini, che ben fa capire quanto sia difficile – meglio, impossibile – riuscire a placare la tristezza e la rabbia: “Non potrò mai perdonare chi ha ucciso mio zio. Sono cristiana, vado anche in Chiesa ma sono, prima di tutto, un essere umano. Il perdono non spetta certo a me. Magari, eventualmente, quando sarà l’ora, dovrà pensarci Dio”.
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