di Donatella Lissia
Sessant’anni e non sentirli. “Quando vado dal medico perchè non posso più alzare un braccio, mi dice: Beh alla tua età è normale!”. La forza di Fiorello, sicuramente oggi il più grande showman italiano, parte da qui: dall’autoironia, dalla consapevolezza delle proprie origini, dal senso della realtà. Ieri la Forte Arena è rimasta letteralmente stregata dalla sua irruente presenza scenica, in due ore e mezzo di spettacolo che passerà come uno dei più belli della rassegna (e non solo), iniziato con la sua voce in sottofondo che con accento campidanese annunciava cinque minuti di ritardo, perchè “la strada è intasata”. E poi la sua comparizione da un’uscita laterale imprevista e il suo bagno di folla, seguito da un tripudio generale, mentre saluta e balla con la gente, a cominciare dagli ultimi posti, “Devo salutare prima i più poveri”.
Il seguito sul palco multimediale, tra cascate di festoni argentati e luci sfolgoranti, video che fanno parlare il suo clone, col quale dialoga e canta, immagini meravigliose scelte da una regia intelligente, che attraversa come in un film della vita tutti i temi più importanti della nostra epoca, dall’inquinamento alla tecnologia che uccide i contatti umani, con le vendite online, gli algoritmi, i cookies, la perdita di identità, l’alienazione dei sentimenti, l’omologazione.
Fiorello attraversa con leggerezza il mondo odierno, con gags imprevedibili, mettendosi in gioco nella sua interezza umana e artistica, con una indescrivibile capacità di far ridere e riflettere, giocare con le parole, traslitterando testi di canzoni, poesie e perfino il padrenostro, in una fantasmagorica commistione di generi, di argomenti, senza mai cedere a volgarità, come è di moda invece nel repertorio di altri comici o intrattenitori, per strappare una risata. Sopra ogni sua performance, invece, c’è un tentativo, riuscito, di cogliere gli aspetti che hanno trasformato il tono dei nostri tempi e di farne oggetto di sana risata, “castigando mores”, ma quel che resta è l’umorismo schietto, il segno inequivocabile di una signorilità d’altri tempi immersa nelle idiosincrasie più moderne.
Con un’orchestra da brivido, c’è poi l’inframmezzo del suo canto, che spazia tra i testi più belli della musica, cogliendone sfumature tutte sue, da vero maestro, con interpretazioni originali, mai col semplice riecheggiamento. Due ore e mezzo di magia e il pubblico ha risposto, ha riso di gusto, ha cantato, riuscendo a sorridere anche sulle tragedie. “Sapete che a Porto Cervo hanno chiuso il porto? C’è un barcone di vip con Briatore scafista che cerca di sbarcare. Bisogna rifocillarli con champagne e caviale!” Si è scritto che i prezzi dello spettacolo non erano popolari. E’ vero, ma se si assiste ad uno spettacolo di questo livello, si capisce quanto lavoro c’è dietro, quanta professionalità e competenza. Nel mondo del nostro spettacolo, forse, non c’è l’uguale.
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