L’Italia non cresce e per la Sardegna va anche peggio. La frenata della spesa delle famiglie è arrivata a livelli drammatici.
La debole ripresa dei consumi iniziata nel 2014 si è già esaurita, senza recuperare quanto perso durante la crisi. Ad oggi, la spesa media degli italiani è ancora inferiore di oltre 2.500 euro rispetto al 2011. È come se dal bilancio familiare fosse stato cancellato un intero mese di acquisti. Le famiglie italiane vivono con 11 mensilità. Ma per le famiglie sarde la spesa media dal 2011 si è ridotta di quasi 4.000 euro (precisamente 3.982 euro), per cui i mesi cancellati sono addirittura quasi due.
Una riduzione così drastica che ha avuto un impatto sul commercio molto forte: tra crisi, boom dell’e-commerce, improvvisa ‘deregulation forzata’, senza dimenticare l’eccessiva presenza della Grande Distribuzione, il commercio sardo negli ultimi 8 anni ha registrato la perdita del 6,1% delle attività, pari a circa 2.400 unità.
La moria di negozi e botteghe ha cambiato anche le nostre abitudini di acquisto e la morfologia delle città, sempre più desertificate e spente. Era il nostro slogan storico: “Se vive il commercio, vivono le città”. Oggi lo dovremmo aggiornare in “Se vive il commercio, cresce l’isola”, perché una regione con meno consumi e meno negozi è una regione più povera. Il mancato recupero della spesa delle famiglie, infatti, non è un problema solo per i commercianti. I consumi sono responsabili del 60% del valore aggiunto. Se la spesa si ferma, si ferma anche il Pil.
I dati raccolti dal report Confesercenti e che vengono qui di seguito riportati mettono sotto la lente di ingrandimento l’andamento della spesa delle famiglie dal 2011 ad oggi, cercando di capire come e quanto sono cambiati i consumi dei sardi, con uno sguardo anche alle insidie che potrebbero esserci dal 2020 e alla spada di Damocle degli aumenti IVA.
La spending review delle famiglie, comunque, non ha colpito con la stessa forza tutte le voci.
Tra le spese più rappresentative nei bilanci domestici, sono state tagliate soprattutto le spese per alimentari, -1.644 euro circa all’anno per famiglia rispetto al 2011 (-322 euro su base nazionale). Tagli importanti anche su abbigliamento, -357 euro a famiglia (-280 euro l’equivalente dato nazionale) e servizi ricettivi e ristorazione, -1.161,00 (-68,00 il dato nazionale).
“Oltre alla contrazione di spesa per alimentari ed abbigliamento che la dice lunga sullo stato di crisi in cui versano i piccoli operatori dei settori interessati – dichiara Gian Battista Piana, direttore Confesercenti Sardegna – va a mio avviso rimarcato il dato sulla spesa per l’abitazione che in Sardegna è in netta controtendenza rispetto alle dinamiche nazionali. Si spende purtroppo di più, come conseguenza di tariffe locali per servizi in forte aumento. Infatti la riduzione dei trasferimenti delle amministrazioni centrali hanno costretto soprattutto i Comuni a perseguire l’equilibrio tra costi e ricavi, seguendo princìpi di copertura integrale da parte dei cittadini degli investimenti e dei costi di gestione. A tal riguardo basti pensare a cosa è successo in Sardegna relativamente a servizi idrici e rifiuti, tra i più cari in Italia”.
La riduzione dei consumi da parte delle famiglie ha avuto un impatto molto forte sulle imprese della distribuzione commerciale. Tra il 2011 ed il 2018 sono sparite in Sardegna oltre 2.400 attività commerciali. È il saldo tra le aperture e le tante, troppe chiusure di imprese che proseguono a ritmi impressionanti.
A sostituire le botteghe, sempre di più, ristoranti ed e-commerce. I pubblici esercizi, le altre imprese della ristorazione e le strutture ricettive negli ultimi 8 anni sono aumentati del 12,7%. I negozi su internet sono poi letteralmente esplosi: su scala nazionale dal 2011 ad oggi ne sono nati altri 11mila, per un incremento a tre cifre del +119,8%. L’aumento dell’Iva deprimerebbe ulteriormente i consumi delle famiglie e avrebbe un effetto devastante anche sul tessuto delle imprese del commercio, già in sofferenza.
“La Sardegna soffre di troppa burocratizzazione e di scarsa attrattività imprenditoriale per potenziali investitori – sottolinea Roberto Bolognese, presidente Confesercenti Sardegna – il 70% del Pil sardo è rappresentato da dalla Pubblica Aministrazione e dalla Saras. È indispensabile a questo punto che la Sardegna cambi registro. Per rilanciare i consumi delle famiglie è necessario creare occupazione. I temi del lavoro devono essere al centro delle politiche di sviluppo del nostro territorio.”
La necessità quindi è di mettere più soldi nelle tasche di chi lavora, in particolare dei salari medi, quelli che hanno più sofferto durante la crisi, e far ripartire la contrattazione, non cancellarla. “ Siamo convinti della buona riuscita della proposta di una flat tax sugli aumenti salariali al di sopra dei minimi contrattuali. – aggiunge Bolognese – Secondo le stime Confesercenti, una detassazione degli incrementi retributivi per tre anni potrebbe lasciare nelle tasche degli italiani 2,1 miliardi all’anno che si trasformerebbero in una spinta di 1,7 miliardi di euro ai consumi, di cui 900 milioni accreditabili alla spesa delle famiglie ed il resto ai consumi di imprese e pubblici. Un beneficio di cui potrebbero godere a maggior ragione i sardi che allo stato attuale sono il fanalino di coda, che accompagnata al non aumento dell’IVA farebbe ripartire consumi e crescita.”
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