Ieri ho avuto il privilegio di essere l’unico spettatore della deposizione, durante un processo in corso a Cagliari, dell’ex ministro degli esteri del Governo Monti, Giulio Terzi di Sant’Agata. Per chi non lo ricordasse, egli è il ministro del caso dei due marò italiani trattenuti in India, dimessosi clamorosamente nel marzo 2013.
L’ex ministro ha denunciato per diffamazione un giornalista sardo.
Ieri era il suo turno nel processo, in quanto parte offesa.
Sono abbastanza soddisfatto di me stesso, per essere riuscito a superare la naturale difficoltà morale che provo a varcare le soglie dei Palazzi di Giustizia. Devo riconoscere che, in un luogo che è la metafora labirintica di che cosa sia la Giustizia in Italia, con la naturale e conseguente difficoltà a trovare le aule dove si svolgono i processi (non penserà qualcuno che siano tutte da una stessa parte, facilmente raggiungibili e identificabili?), ho incontrato tre persone che mi hanno condotto dove volevo andare, con una cortesia e gentilezza che mi hanno restituito il buonumore.
Poi sono entrato nell’Aula.
Persone presenti: i giudici, il pubblico ministero, l’avvocato di parte offesa, l’avvocato difensore del giornalista, l’ex ministro e io. Non una radio; non una televisione; non un quotidiano; non un settimanale. Nessuno. E vi assicuro che, invece, sarebbe stato utile ascoltare Terzi. Ma in Sardegna l’informazione è facoltativa. Non è un diritto, è una fatica titanica.
L’Occidente e il Medio Oriente
Non entro nel merito dei contenuti del processo, ciò che mi ha colpito è che il ministro, raccontando della sua politica estera in Medio Oriente, ha messo in campo una posizione di parte come punto di vista naturalmente e universalmente giusto.
Più o meno il suo ragionamento è stato questo: “Poiché le mie posizioni erano coincidenti con quelle dei Paesi Occidentali e della Lega Araba, le mie posizioni erano giuste, equilibrate e legali“.
Io, che ho avuto la fortuna di assistere, in altri contesti, a conferenze di cristiani siriani e iracheni, ho potuto constatare che ciò che appare sommamente giusto in Occidente, e qui propagandato come vero e legale, visto da lì può legittimamente apparire sommamente ingiusto, sommamente falso e prevaricatore, sommamente illegale.
Faccio un esempio. Le famose armi di distruzione di massa irachene, che portarono il segretario di Stato americano dell’amministrazione di George W. Bush a fare la celebre conferenza stampa che poi aprì la strada della costruzione del consenso intorno alla Seconda Guerra del Golfo, come tutti sappiamo, oggi, non sono mai esistite.
Le minoranze cristiane irachene lo dicevano anche allora, prima, durante e dopo la guerra.
Quanto è stata legale la Seconda Guerra del Golfo?
Il Medio Oriente è un teatro politico molto complesso, dove Usa, Russia, Turchia, Israele, Arabia Saudita, Qatar e Iran, si combattono in mille modi diversi, con mille complicità, mille traffici, mille trasformismi, mille manipolazioni.
La posizione costante di chi, come molte comunità cristiane e molti occidentali impegnati nel dire la verità e nel difenderla, è preoccupato degli effetti sulla gente di questo grande gioco a scacchi internazionale, è sempre stata molto critica con l’Occidente, perché alla fine l’Occidente si è sempre allineato con gli Usa e non sempre gli Usa hanno cercato e cercano di capire prima di agire; troppe volte agiscono prima di pensare, in virtù di una sorta di riflesso pavloviano a qualsiasi evento, persone, idea, essi ritengano possa intaccare la loro capacità di influenza politica e economica.
È stato sconcertante per me vedere interpretata in diretta, e da un ex esponente di un governo italiano, la politica occidentale che avevo sempre sentito raccontare da chi ne è stato vittima.
L’Occidente (e con esso l’Italia), patria del relativismo (nato, bisognerebbe ricordarlo, come antidoto al dogmatismo e all’assolutismo, non certo per il nichilismo e il consumismo), in politica estera è dogmatico: ciò che fa è giusto per definizione, anche quando, visto da chi lo subisce, è terribilmente feroce.
La nuova versione sulle dimissioni per il caso marò
Ma ciò che più mi ha colpito nella deposizione dell’ex ministro è il riferimento alle sue dimissioni. Egli ne ha dato una versione diversa da quella fornita nella Camera dei Deputati (“Mi dimetto perché per 40 anni ho ritenuto e ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilità del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perché solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie“). Ieri l’ex ministro ha detto che si era dimesso per la scelta del governo italiano di far rientrare in India i due marò, perché in India i due militari rischiavano la pena di morte per l’applicazione della legge antiterrorismo. Egli ha fatto pure riferimento all’incostituzionalità sottesa alla scelta governativa.
Sono andato a rivedermi le mie carte e ho verificato di ricordare bene: il 21 marzo del 2013, cioè cinque giorni prima delle dimissioni del ministro, i fucilieri erano rientrati in India dopo rassicurazione scritta del Governo indiano a non applicare la pena di morte e a tutelare i diritti fondamentali dei due indagati. Fatta la verifica, le dimissioni di Terzi sono rientrate, ai miei occhi, nella cornice propagandistico-elettorale italiana che da sempre le ha contraddistinte.
La memoria è una cosa seria. Mazzini diceva che chi combatte per la libertà ha il sonno del leone perché ha memoria. Noi sardi non siamo leoni, ma ci ricordiamo tutto quello che dicono gli italiani. A volte, più di loro.
L'articolo La politica estera dell’Italia in un’aula di giustizia in Sardegna: un solo spettatore proviene da Cagliaripad.