L’impatto sulle casse della Regione dei pazienti sardi che scelgono (o sono costretti) di curarsi fuori dall’Isola è di 82 milioni di euro. Questo il dato che più di tutti mette in evidenza la stretta correlazione tra sanità e condizione di insularità.
Lo ha ricordato oggi il Comitato che nei mesi scorsi si è mobilitato per raccogliere le firme necessarie per depositare in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare per l’inserimento del principio in Costituzione e che oggi si trova in commissione Affari costituzionali del Senato in attesa di essere discussa.
Oggi il gruppo presieduto da Roberto Frongia (Riformatori) e coordinato da Maria Antonietta Mongiu, e di cui fanno parte esponenti di tutte le forze politiche, rilancia e chiede innanzitutto che i parlamentari sardi si mobilitino per velocizzare l’iter della proposta.
Poi, per quanto riguarda la sanità, “che la Sardegna ridiscuta il suo rapporto con lo Stato”. Infatti, sostiene il presidente del Comitato, “i diritti di salute sono imprescindibili per ciascun cittadino italiano ed è elemento specifico di coesione sociale che essi siano garantiti in modo simile in tutto il territorio nazionale”.
Per questo “è inaccettabile che lo Stato assegni interamente alla Regione il compito di provvedere economicamente alla garanzia di questi diritti: se vogliamo garantire l’equità delle prestazioni la tutela dei Lea deve essere affidata all’azione di perequazione centrale dello Stato”.
Oltre a ciò il Comitato chiede che “sia misurato e accertato il maggior costo per il sistema sanitario sardo, derivante dalla condizione di perifericità, di identici livelli di prestazione rispetto alle altre regioni italiane”.
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