Ligabue non riesce più a riempire gli stadi Cagliaripad

15 giugno 2019, stadio San Nicola di Bari, prima data dello Start Tour di Luciano Ligabue. I fan si accomodano nel posto che hanno prenotato in tribuna numerata, ma poco prima del concerto vengono dirottati verso la curva, il palco effettivamente punta diretto da quel lato. Come mai? Molto semplice, sono stati spostati per non farli apparire come un’oasi immersa nel nulla.

Lo aveva anticipato Michele Monina, dalle pagine de Linkiesta, lo confermano le notizie che arrivano dalle redazioni locali di Messina, seconda tappa del tour allo stadio Franco Scoglio, circa ventimila paganti per una struttura che potrebbe ospitarne almeno il doppio, e anche lì è servito spostare tutto di qualche metro, per strizzare l’occhio all’obiettivo dei fotografi e far passare per tripudio di pubblico (“alla Vasco” diremmo, se fossimo cattivi) quella che, rispetto al passato, appare più come una riunione in pizzeria di vecchi compagni del liceo.

E alla fine la conferma arriva pure dallo stesso Ligabue tramite questo post su Facebook: È vero che in alcuni stadi, a questo giro, l’affluenza di pubblico è inferiore alle previsioni dell’agenzia”. Ringrazia per l’affetto e il calore del suo pubblico, particolarmente apprezzato dopo più di un anno lontano dal palco e quel brutto spavento del 2017, quando problemi alle corde vocali rischiavano di fargli chiudere anticipatamente la carriera; ma non può negare l’evidenza e decide, coraggiosamente, di metterci la faccia ancor prima di essere sommerso dalle critiche.

A guardarla da un punto di vista prettamente tecnico la cosa dovrebbe metterci sull’attenti, se anche uno dei pilastri della musica italiana stenta a sbigliettare vuol dire che qualcosa sta cambiando e non in meglio; forse anche Ligabue è rimasto sommerso dalla trap, da una musica nuova, da chi è più giovane e vigoroso, da chi ha più tatuaggi o piercing, o un outfit più moderno, e dovremmo poi dunque gridare allo scandalo come vecchi babbioni ai quali è stata rotta la finestra del salotto con una pallonata dai bambini del palazzo.

Prima però di puntare il dito sarebbe il caso di riflettere: è vero che la musica è cambiata, che il mercato è cambiato, che la discografia è cambiata, ma non è la prima volta che accade in questi ultimi trent’anni, dal 1990, quando Ligabue usciva con il suo primo omonimo, bellissimo, album.

Il problema allora sta altrove. Nel nostro ragionamento dovremmo partire dal fatto, indiscutibile, che il cantautore di Correggio non azzecca più un album degno del suo (grande) talento da “Buon compleanno Elvis”, e parliamo del 1995. Da lì in poi dieci anni in calo: tre album in studio con qualche pezzo riuscito grazie all’arguzia del mestierante, due album di live certamente intelligenti e ben ideati, due libri dignitosissimi, due film, il primo “Radiofreccia” tra i migliori girati nel nostro paese negli ultimi quaranta/cinquant’anni, il secondo “Da zero a dieci” diversi gradini più sotto, e poi, naturalmente, il primo Campovolo, consacrazione ufficiale a status di star.

Da lì in poi, e siamo arrivati al 2005, quindi quasi ormai quindici anni fa, qualcosa si è definitivamente rotto, non ne azzecca più una nemmeno per sbaglio, tre album disastrosi dove Ligabue sembra segnare il passo, sembra svuotato di argomenti, nella sua musica non c’è più quella meravigliosa epica della provincia, non c’è quel romanticismo affumicato, quella rozzo furore, quell’incazzatura, quella cazzimma; da lì in poi sembra sempre di ascoltare Ligabue che imita Ligabue, che punta sul fatto di essere Ligabue e per questo, paradossalmente, perdendo la propria essenza.

Solo che nel frattempo chi era adolescente all’inizio del secolo si è stufato ed è passato ad altro, chi lo era nel 1995 si è sposato, ha fatto figli, si è fatto la panza, ha perso i capelli e ha sempre meno tempo ed energie per andare ai concerti negli stadi con la certezza di doversi sorbire tre quarti di live senza avere idea di cosa stia cantando quella controfigura sul palco, in attesa che entri, finalmente, il vecchio Ligabue a suonare i pezzi che lo hanno reso Ligabue.

Troppa fatica, fisica ed economica. Chi tiene in vita il mercato musicale sono i più giovani, quindi se proprio lo si vuole conquistare, cavalcare, domare, questo mercato le opzioni sono essenzialmente tre: o si fa musica mirata all’obiettivo, quindi leggera, disinteressata, priva di chissà quali contenuti, d’intrattenimento; o capita per caso di fare la musica giusta nel momento giusto, e la tempistica nella discografia, così come nella vita, è fondamentale; o si fa musica talmente bella da soverchiare qualsiasi barriera ed essere apprezzata senza limiti di target.

Allora, se questo è vero (ed è vero), prima di urlare al sacrilegio, prima di bestemmiare contro la nuova musica italiana o la trap, forse sarebbe meglio aprire le orecchie e valutare il fatto che difficilmente puoi coltivare pubblico nuovo componendo sempre la stessa litania, imbarazzante copia e incolla della musica buona che hai fatto vent’anni prima; e ancor più difficile con questa nuova vecchia litania riempirci uno stadio. Ligabue è un personaggio estremamente positivo con una sindrome da rockstar a dir poco commovente, la sindrome di chi, è evidente, avrebbe voluto spaccare il mondo, e a tratti c’è anche riuscito, e si è ritrovato ad un certo punto a dover addomesticare la propria musica per offrirla al più redditizio mondo del pop.

Poco male, a nessuno è riuscito di più, Vasco Rossi riempie ancora gli stadi, si, ma coccolandosi scrupolosamente i suoi evergreen, in virtù di un culto dovuto ma vagamente esagerato, certamente stantio. Ligabue invece ci prova e ci riprova, non si tira mai indietro, anche quando dovrebbe; la sua pubblica ammissione è ammirevole, ora però arriva anche il momento delle scelte, di ponderare il da farsi ben più di una volta prima di allungare la gamba per fare un passo.

Certo, da questo lato della barricata è tutto estremamente più facile da spiegare e da capire, anche perché l’unica cosa che nell’intimo ci piacerebbe da pazzi è che arrivasse un’altra pallonata a spaccarci il vetro di quella finestra del salotto e che a calciare quel pallone fosse di nuovo Ligabue.

Fonte Agi.it

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