“Il gavettone? Due gocce d’acqua: per colpa della movida a Cagliari non dormo più” Casteddu On line

Abita in piazza Yenne, al primo piano dei uno dei palazzi costruiti tanti decenni fa e che, da un po’ di tempo, “ospitano” al piano terra locali e bar. Livia Medda, sessantuno anni, è la signora che ha lanciato, venerdì scorso, una secchiata d’acqua dal suo balcone, centrando delle persone che si trovavano all’esterno di un locale. Risultato: denuncia da parte della polizia, dopo la chiamata del titolare. “Una reazione esasperata dei cittadini per il rumore notturno che rende invivibile il centro storico”, ha commentato il comitato “Rumore, no grazie”. Ma lei, la Medda, tira dritta per la sua strada e non rinnega nulla. Anzi, se può rincara la dose. Dopo essere stata contattata dalla redazione di Casteddu Online, ha deciso di affidare a una lunga email la sua posizione. La lettera, che pubblichiamo di seguito, è stata “tagliata” in alcune parti dove c’erano dei precisi riferimenti a locali e persone.

 

“Dietro un episodio definito “gavettone”, che in altri tempi sarebbe finito con un cordiale e reciproco mandarsi a quel paese, e magari l’attenzione da parte dei titolari del locale ai volumi delle musica e ai toni della voci dei clienti, e che invece è sfociato addirittura in denunce penali e articoli sui giornali, c’è un problema enorme che affligge il centro storico: la gentrificazione. Per capirlo basta guardarsi intorno. I quartieri maggiormente carichi di storia, la storia della nostra città, di un’identità costruita nei secoli e presente nel paesaggio e nell’architettura ma anche frutto di una composizione sociale popolare e solidale, ricca nel suo accettare la diversità senza mai perdersi, sono stati investiti e s/travolti. Stampace, Marina e Castello stanno perdendo ogni specificità per diventare uguali a qualsiasi altra città europea”. Per la Medda il centro è diventato un “’divertimentificio’, una psychodisneyland dove masse di persone si accalcano nei locali fondamentalmente perché se non vai in piazza Yenne sei uno o una “sfigat*. Per non parlare di quanto sei “sfigat*” se sei uno o una dei pochi residenti storici rimasti a viverci, o almeno a provarci. Sottolineo che queste case, che risalgono all’800, sono lunghe e strette e specie al primo piano, prendono luce solo dalle finestre che danno sulla piazza. Chiuderle è morire, specie quando ci sono 30/40 gradi, ma lasciarle aperte diventa un vero e proprio calvario”.

“Il locale sotto il mio appartamento non è insonorizzato, quindi quando impazzano i dj-set me li sento sotto il letto. E le pompe di calore dovrebbero buttare l’aria bollente a tetto, non nei nostri balconcini. Come e perché possano essere autorizzate situazioni che ledono evidentemente i diritti di qualsiasi cittadino, è cosa che non si capisce se non la si inserisce nel discorso generale di definitiva espulsione dei residenti storici, di estrazione popolare, insomma, che vadano in periferia, per la miseria!  In centro devono vivere solo quelli degli attici o in grado, e disposti, a barricarsi dentro case sempre più isolate dal quartiere, con doppi vetri e condizionatori (com’era la storia dell’ambiente? Avete idea di quanto inquinino questi impianti?). Ma io amo il mio quartiere, ed è mio sacrosanto diritto poter aprire le finestre. Ho presentato esposto alla Procura della repubblica nel giugno 2018, ho protocollato la richiesta per misurazioni audiometriche Arpas e per altrettante misurazioni delle emissioni di odori molesti. Qui non si respira, ho contratto malattie alle vie respiratorie, anche grazie all’orribile sequenza dei teli pubblicitari (sono condomina ma in minoranza) che coprono l’intera facciata, che abbiamo da tre mesi senza che siano iniziati i lavori e avremo ancora fino a fine ottobre. Non si mangia con i miasmi che prendono allo stomaco e non si dorme”.

“Mia figlia ha dovuto cambiare residenza e andare a vivere da altri parenti perché la stanza, l’unica veramente vivibile della casa, è ormai off limits: il baccano, le urla, gli schiamazzi, le discoteche a cielo aperto impediscono, non solo il sacrosanto riposo ma anche di usufruire della stanza dopo le 20. Impossibile invitare amici a cena, chiacchierare, guardare un film, insomma, farsi gli affari propri a casa propria. A me pare una violenza inaccettabile, per sopravvivere mi devo rintanare “in cameretta”, davvero uno sfregio per una donna di 62 anni. E sono 62 anni non passati in convento: non me la si meni con la storia dei vecchi che non vogliono che i giovani si divertano, ma quando mai! Non la ridurrei affatto a una questione generazionale perchè ho frequentato e frequento, anche se molto meno di prima, ovviamente, locali dove i titolari ci cazziavano e cazziano malamente se rompiamo le scatole al quartiere, tanto per essere chiari. Chi sgarra viene buttato fuori. Perché un locale si deve inserire nella vita del quartiere, non dettare legge con la prepotenza. Questo non accade nella cosiddetta ‘movida’ casteddaia, anzi, chi osa protestare viene immediatamente aggredito verbalmente, maxime se si tratta di una donna non supportata da maschio ufficiale, allora addio, ti becchi di tutto, da insulti sessisti irripetibili alla derisione. Eppure so che nella mia zona dalle 22 in poi non si dovrebbero superare i 45 decibel, ma figuriamoci! Credo di aver inviato almeno un centinaio di segnalazioni per inquinamento acustico alla legal mail della Municipale. Inutilmente. La stessa notte del ‘terribile fattaccio’, prima di gettare (da oltre la grata che ho dovuto mettere per evitare che i miei gatti andassero sul ponteggio e il ponteggio, mezza bacinella d’acqua, poche gocce alla fine di luglio, si può immaginare l’impatto devastante!) avevo telefonato e mi è stato chiuso il telefono in faccia. I locali sono troppi. C’è un’eccessiva concentrazione di esercizi commerciali e di gente. Spostandosi verso Sant’Avendrace e San Michele, invece, non si trova un bar a pagarlo oro, per non parlare di ristoranti e pizzerie. Poche gocce d’acqua a fine luglio finiscono con una denuncia, i diritti calpestati dei residenti resistenti non contano nulla. Ma io non me ne vado. Questa piazza è anche mia”.

 

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