“Mi interessano meno di zero“. Così il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha commentato su Radio anch’io le parole del premier Giuseppe Conte ieri in Senato.
“Mi alzo ogni mattina per andare al Viminale per lavorare – ha aggiunto -. Io finché posso far le cose sto al governo, se dovessi accorgermi che sto al governo per non fare le cose…”.
“C’è un’inchiesta e buona caccia al tesoro che non c’è“, ha detto in un altro passaggio parlando del cosiddetto ‘Russiagate’ italiano. Il vicepremier ha sminuito il caso parlando di un caso di “fantasy di spionaggio in Russia”, “una storia dell’estate”. “Ci pagano per far lavorare le persone, per sistemare strade e autostrade”, ha sottolineato Salvini, aggiungendo che “ieri Conte al Senato ha detto quello che dico io da settimane. Non ho mai preso un rublo, vado all’estero per far politica non per far accordi commerciali. Incontrare ministri è il mio lavoro, per l’interesse nazionale italiano”.
Ieri, nell’ambito dell’informativa del prmeir sui presunti fondi russi in Aula al Senato – è andata in scena la sfida a distanza tra il premier e il leader leghista.
Gianluca Savoini – ha detto in Aula Conte – il 16 luglio 2019 “era nella delegazione italiana a Mosca su indicazione del ministero dell’Interno“. Conte riferisce sul caso dei presunti fondi russi alla Lega. Matteo Salvini non c’è, perché pensa di non avere nulla da spiegare.
A rappresentarlo tra i banchi del governo c’è solo l’avvocato e ministro Giulia Bongiorno.
Dagli scranni della Lega si pesano le parole del premier, si misura il termometro di una crisi strisciante che non appare davvero archiviata. Il M5s, in subbuglio dopo il sì alla Tav, non c’è.
Conte le parole le pesa ma non le risparmia. “Ad ora”, dice, resta “fiducia” in Salvini, anche se il ministro gli ha rifiutato le informazioni chieste su Savoini.
Il Pd annuncia una mozione di sfiducia al ministro dell’Interno. Ma Salvini non sembra curarsene e accusa piuttosto Conte di “giochetti di palazzo”:
“Cerca voti per una nuova maggioranza come si cercano funghetti in Trentino”.
In Aula Conte rivendica la propria scelta di trasparenza rispetto al Parlamento e la linea di politica estera italiana di dialogo con la Russia tenendo ferme le stelle polari dell’Ue e della Nato. Quando arriva a Savoini, ribadisce che a invitarlo alla cena con Putin è stato Claudio D’Amico, tuttora in carica come collaboratore di Salvini a Palazzo Chigi. Non solo. Aggiunge che Savoini, a Mosca con Salvini lo scorso ottobre e anche a luglio 2018, almeno nella occasione di luglio era accreditato nella delegazione del Viminale. Ma fonti della Lega ribadiscono: “Savoini non è mai stato nelle delegazioni del Viminale partite da Roma”.
Alla fine il Pd sostiene che il premier non ha spiegato nulla e annuncia una mozione di sfiducia a Salvini “a garanzia di tutti gli italiani”. “E’ una medaglia!”, commenta beffardo il vicepremier. Ma punta il dito contro un passaggio della informativa di Conte che non è passato inosservato: “Qui tornerò ove mai dovessero maturare le condizioni per una cessazione anticipata del mio incarico”, afferma il premier. “Non ho capito perché – dichiara Salvini – che bisogno c’è di lasciar pensare che ci possano essere altre maggioranze raccolte un po’ qui e un po’ lì come funghetti in Parlamento, magari recuperando uno Scilipoti?”, incalza.
La tesi è che il premier abbia mandato un messaggio al partito trasversale del non voto, in vista di un Conte-bis. Per il resto, affermano i leghisti, sulle vicende russe non ha detto “niente” perché sono “fantasie da B-movie”. Conte sceglie di non replicare ma lo fa indirettamente Luigi Di Maio in serata, mentre prova a governare la rivolta M5s sulla Tav. “Qualcuno mi dice ‘aprite la crisi di governo’ ma vorrebbe dire dargliela vinta, non tagliare i parlamentari, ritrovarci un nuovo governo tecnico o politico”, dice il leader M5s a chi, come Nicola Morra o Roberta Lombardi evoca la crisi.
La sua proposta è far votare il Parlamento, anche se dalla Val di Susa indicano un precedente della scorsa legislatura per sostenere che bloccare la Tav con una legge non si può. Nel caos, pesano le parole di Beppe Grillo che difende sia Conte sia il ministro Danilo Toninelli: “Sono molto scontento ma decida il Parlamento, è la democrazia”. Ma intanto i senatori M5s disertano l’Aula “in imbarazzo” per l’assenza di Salvini. E a sera è la parola “crisi”, solo evocata, a tenere di nuovo banco.
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